Soul flights
E’ qualcosa che capita la sera o la mattina presto quando decolli senza una meta precisa, solo per vedere cosa succede intorno a te. Ed è la parte più bella del volo minimale, perché l’anima ha bisogno di voli placidi, sentire la brezza in faccia, avere tempo per osservare. E spegnere ogni tanto.
Senza una meta, ogni luogo diventa una meta, come la quattrocentesca torre di avvistamento del Duca Federico da Montefeltro che, posta com’è sulla collina spoglia, invita a una pausa per guardarsi intorno e osservare le due valli che divide.
Oppure il castello di Tavoleto, costruito quattro volte ai confini fra Marche e Romagna, zona di scontri continui nel Rinascimento fra i Malatesta, signori di Rimini e i Montefeltro, signori di Urbino. Inizialmente torre fortificata delle mura bizantine, ricostruito nel 1300 dai riminesi, conquistato e distrutto da Federico e fatto ricostruire su progetto di Francesco di Giorgio Martini nel 1474 per un presidio di 80 uomini in arme. Ma è un maniero senza pace: il 31 marzo 1797 il generale Sahuguet, comandante delle truppe napoleoniche franco-cisalpine, lo saccheggiarono e lo incendiarono. Rimane pericolante fino al 1865, quando si decide di abbatterlo per riutilizzarne il materiale. Su queste rovine i Conti Petrangolini riedificarono l’attuale maniero terminato nel 1924, fortunatamente solo danneggiato dal passaggio della Linea Gotica.
Ma ci sono anche mete improvvise, bellezze naturali nel mezzo del nulla, come un bel prato sulla collina da cui si scorge il mare. Allora decidi di scendere un momento per godere dello spettacolo e, sorpresa, i suoi quadrupedi abitanti decidono di venire a vedere l’intruso da vicino. Una carezza sul muso, un nitrito di saluto e via.
E più in là appare la maestosa roccia sollevata da chissà quale movimento geologico, placche che scorrono, imponenti blocchi di roccia calcarea risultato dell’erosione di materiali più teneri nel corso di milioni di anni. Un’antica storia geologica che ha visto la deposizione di sedimenti marini, l’emersione, l’azione dei ghiacciai e dei corsi d’acqua, e infine l’erosione che ha plasmato il paesaggio attuale. Imponente e superbo.
E che dire della vetta piatta di un monte? Dai 1400 metri della cima, lo sguardo si perde da solo fra Toscana, Umbria, Marche e Romagna. E laggiù si intravedono le rocche di San Marino. E soddisfatto di questo splendore, lo sguardo va anche al fedele scudiero che sembra perdersi fra cielo e terra e tante sensazioni mi regala.
Anche l’uomo ha lasciato i suoi segni, a volte delle ferite, a volte simboli di operosità e potenza, a volte opere vive. Come Malatesta da Verucchio “Guastafamiglia” (uno che ha fatto eliminare fratelli, parenti o rivali interni per affermarsi come signore assoluto, ricordate la tragedia di Paolo e Francesca?), che tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, erige la fortezza di Montefiore Conca come rifugio sicuro per i momenti di crisi. Qui Costanza Malatesta fu uccisa in circostanze tragiche, accusata di tradimento.
Ma ci sono anche simboli di pacifica comunicazione fra le genti, come il ponte medievale di Fermignano, che con la sua torre è costruito sui piloni del precedente ponte romano e unisce le due sponde del borgo. E ai suoi fianchi, ecco l’antica cartiera i cui movimenti erano tratti dall’acqua del fiume Metauro che scorreva nelle viscere, ingurgitata dalla bocca sotto la torre, testimone di duro lavoro.
E infine, risalendo le dolci colline, appare il Rinascimento maestoso di Urbino, con la sua città in forma di palazzo. I torricini del Palazzo Ducale fanno bella mostra di sé su quello che nel ‘400 era uno strapiombo, mentre l’ingresso monumentale si trova sul lato opposto. Ma la strada da Roma e Firenze proveniva da Sud e la prima cosa che i foresti dovevano vedere arrivando a Urbino era la magnificenza del Duca Federico, la facciata con i torricini che svettano verso il cielo.
Per oggi sono a posto, posso portare la mia anima a casa.