Può capitare, ma meglio di no!

Qualche anno fa avevo scritto questo pezzo a metà fra un racconto e un avviso di ciò che è bene non capiti. Lo rispolvero perché può essere utile e per invitare tutti a raccontare qualche disavventura dalla quale trarre insegnamenti che non fanno mai male. Comincio io, ma voi inviatemi le vostre “avventure” alla mail: stefano(at)volominimale.org (ovviamente occorre sostituire (at) con @.

Appena ho visto la fine del tunnel del mutuo prima casa, mi sono iscritto alla Scuola di volo di Gubbio. Che figata! Aimaro, l’istruttore, discendente di una famiglia di navigatori del cielo e del mare, è un personaggio pazzesco, con lui dietro mi sentivo sicuro di poter imparare alla velocità della luce. Intanto mi sono preoccupato di ricercare il mio deltamotore personale, così che alla fine del corso, ottenuta la “patente per volare”, potessi scorrazzare da solo per il cielo. Un paio di mesi dopo ero già in possesso di un minuscolo deltaplano monoposto e non vedevo l’ora di poterlo provare, ma avevo appena fatto il primo volo da solista e mancavano ancora diverse ore di corso per poter accedere all’esame finale…

Qualche tempo dopo, finita la consueta lezione di volo, Aimaro mi guarda storto e dice: “Va bene, adesso puoi provare il tuo trabiccolo, tiralo fuori che lo provo io e se è tutto a posto poi puoi andare in volo”. Ovviamente non me lo aspettavo, tutto elettrizzato spingo fuori il mio piccolo deltamotore dall’hangar, faccio tutti i controlli pre-volo come imparato durante il corso, lui prende posto sul seggiolino e urla le parole magiche che precedono ogni messa in moto: “Via dall’elicaaaaaaa”, e vola via nel cielo di Gubbio. Dopo una ventina di minuti eccolo di nuovo, atterra, si toglie il casco e comincia a elencarmi tutte le differenze di pilotaggio rispetto al grosso biposto con il quale ero abituato a volare durante il corso, poi le cose a cui avrei dovuto fare attenzione, il comportamento in decollo e infine sentenzia: “E’ tutto tuo, non allontanarti troppo”.

Ma vi rendete conto che emozione? Con i brividi addosso mi siedo, allaccio le cinture, casco in testa, occhiata intorno per verificare che non vi fosse alcuno da affettare con l’elica e poi anche io per la prima volta: “Via dall’elicaaaaaaa!”

Decollo molto più rapido di quello a cui ero abituato, salita, virata, riduco il gas per livellare la quota, che spettacolo! E’ molto più “docile” del velivolo usato dalla scuola, mi dirigo verso la periferia di Gubbio dove si può ammirare l’anfiteatro romano e poi su verso il santuario soprastante e poi giù a cercare la pista degli aeromodelli, Madonna che figata pazzesca, mi sento davvero baciato dalla fortuna!

Dopo un po’ sorvolo una specie di piccolo stadio e mi accorgo che è in corso una partita di rugby, uno sport che mi ha sempre incuriosito molto, così mi metto a circuitare lì intorno cercando di capire come si svolge il gioco, seguo un po’ di azioni con le “baruffe” tipiche di questo sport e poi, tutto soddisfatto del mio primo volo, penso che sia ora di rientrare, non vorrei che l’istruttore si inizi a preoccupare. Virata a destra, scorgo gli hangar del campo volo laggiù in fondo e punto dritto mantenendomi livellato a circa 150 metri di quota. Manca poco, valuto circa 1000 metri, devo entrare in circuito di atterraggio approcciando la pista circa a metà per osservare la direzione del vento indicata dall’apposita manica, ripasso mentalmente le manovre da fare e mentre sono assorto in tutto ciò, sento il motore che inizia a fare sinistri singhiozzi, addrizzo le orecchie allarmato e sento qualcosa tipo “sput, sput, sput”. Silenzio.

Pensieri dei cinque secondi successivi: “(Invocazioni di Santi & Beati), ma non è possibile, cacchio che sfiga, al primo volo da solo già un’emergenza motore; alla pista non ci arrivo, devo assolutamente trovare un prato per atterrare”. Ripasso mentale velocissimo della manovra di emergenza che mi è stata insegnata durante il corso: cercare il miglior campo compreso in un angolo di visuale di 120° davanti a me. Comincio a planare mentre ne scorgo uno non lavorato ma un po’ lontano e con una linea telefonica che l’attraversa, no buono. Giro lo sguardo un po’ a destra, c’è un prato decisamente migliore ma un po’ corto, viro in quella direzione e mi rendo conto che sono piuttosto alto ancora, dovrò manovrare per perdere quota rapidamente. Guardo ancora a destra, vedo un lungo prato di erba e mi spunta un sorriso. Sono atterrato lì con la manovra più delicata che abbia mai fatto in tutti questi anni. L’erba, più alta del previsto, mi fa fermare in pochi metri e mi ritrovo nel silenzio assoluto. Prima di slacciare le cinture e scendere, decido di prendermi un attimo per pensare a cosa è successo, come ho reagito e a valutare se ho eseguito la manovra correttamente. Subito mi sono meravigliato sia del fatto che non ho avuto la minima paura, che dell’automatismo e la concentrazione con la quale ho iniziato e gestito la procedura di emergenza, segno che il corso aveva dato i suoi buoni risultati. Due secondi dopo mi sono reso conto di essere un coglione!

Slaccio, mi alzo, giro dietro il deltamotore, guardo il serbatoio: vuoto, ho finito il carburante in volo.

Spiegazione del tacchino (Aimaro definiva così i piloti alle prime armi): all’epoca avevo un piccolo serbatoio da cinque litri e siccome i controlli pre-volo li avevo effettuati precedentemente al volo di prova del mio istruttore, non ho pensato poi di controllare quanto carburante fosse rimasto prima di decollare a mia volta.

Però la lezione è servita: da quella volta uso un serbatoio che mi garantisce tre ore di autonomia e quando decollo è sempre pieno.

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