Vela-racconto

(Tratto da: “Guido Medici”, Ali & Motori, aprile 1998)

Gira e rigira sembrano tutte uguali, non è facile addentrarsi nei segreti delle nostre ali e le occasioni per provare diverse vele nelle stesse condizioni e in poco tempo, sono davvero poche. C’è chi nella vela del deltaplano vede poco di più di un tessuto in dacron con qualche stecca di alluminio e un po’ di cavi in acciaio per tenerla aperta come un ombrello, ma l’elemento chiave del suo successo risiede nella flessibilità dell’ala. I costruttori hanno concentrato la loro attenzione su questa particolarità, cercando di sfruttare le potenzialità che offre e affinando le tecniche costruttive, affinché le variazioni di profilo che subisce un’ala in volo alle diverse velocità e con diversi pesi, avvengano secondo piani e progettazioni prestabilite.


Solo la Germania ha seguito con attenzione l’evoluzione dell’ala attraverso un centro attrezzatissimo abilitato a certificare il comportamento della vela e della struttura, mediante un veicolo test realizzato da Paul Kofler e Ali Schmidt.
Poiché sia la struttura che la velatura sono flessibili, ne deriva che con la velocità e il peso le deformazioni in volo che l’ala subisce raggiungono valori significativi. Queste sono state quantificate per mezzo di sensori di rilevazione e elaborati attraverso un apposito software su un modello di delta da volo libero. Si è così potuto stabilire come cambi la distribuzione della portanza in relazione alle diverse velocità di volo.
Per ottenere la massima efficienza, la distribuzione della portanza sulla superficie della vela deve essere ellittica. Una buona ripartizione minimizza la resistenza indotta e deve essere massima al centro per decrescere, prima lentamente e poi più rapidamente, verso le estremità. Rispetto alle ali rigide, quella del delta è lontana da questa realtà: osservando le figure si può notare come un picco di portanza in corrispondenza della chiglia e una perdita considerevole man mano che da questa ci si allontana.

Con la variazione di velocità di volo, inoltre, questa distribuzione varia sensibilmente fino ad arrivare a valori negativi alle estremità della vela. Considerate che stiamo parlando di variazioni comprese fra 37 e 60 km/h (ala da volo libero), mentre nel volo a motore occorre considerare almeno uno spettro compreso fra 50 e 140 km/h, quindi è facile immaginare le problematiche affrontate dai costruttori per arrivare a mantenere la distribuzione corretta della portanza, mantenendo inalterata la governabilità con il solo spostamento del peso: in alcuni punti la velatura è stata irrigidita, in altri l’esatto contrario, , con il centro dell’attenzione riservato alle estremità alari. Il roach finale è quello che, più di altri elementi, attribuisce alla vela determinati comportamenti.

Il deltaplano, rispetto ad un’ala rigida, ha una resistenza parassita elevata e, come visto, una ripartizione della portanza non ottimale. La curva di portanza in funzione della velocità è anomale in quanto le deformazioni che intervengono con le variazioni dell’incidenza, cambiano le caratteristiche del profilo. Una ulteriore complicazione è il carico alare applicato. Molto spesso si caricano troppo le vele con il risultato di ottenere radicali cambiamenti della manovrabilità e maneggevolezza, oltre che nella stabilità, soprattutto alle basse velocità.

Il carico alare elevato e il profilo spesso induriscono la vela in rollio e riducono la stabilità statica longitudinale. In altri termini, la barra si fa dura nei movimenti laterali e la macchina è meno sensibile nella richiamata finale. Per queste ad altre ragioni, molti costruttori hanno introdotto nelle tabelle relative alle caratteristiche della vela, anche i limiti massimi di peso accettabili da non superare.

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